In Calabria la vinificazione è arte! Arte innata che col tempo è migliorata aumentando la gamma dei vini calabresi. Ѐ giusto dire a chi mi segue dall’estero spesso emigrati o figli di emigrati che ricordano o conoscono la Calabria tramite i miei scritti. Quando si pratica la vendemmia il primo pensiero della massaia calabrese è di prodursi il vino cotto “o Mustarda“. Uno degli ingredienti dell’antica arte dolciaria calabrese. In nessuna casa mancava “u vinu cottu”. In primis per produrlo serve una bella “coddara “ di rame lustrata e poi l’accensione di un bel fuoco scoppiettante. Chi non ha spazio può produrlo in casa con pentola e fornello a gas. Prima di scaricare l’uva nella pigiatrice si prodigavano nella scelta dei grappoli migliori, quelli più “sanizzi” (integri) e con i chicchi più grossi. Un certosino lavoro di scelta e poi di separazione buccia e polpa. Un tempo questo era il divertimento dei bambini che venivano coinvolti nella vendemmia. Tutto sotto l’occhio vigile della massaia! Persino i semini devono essere eliminati poiché la mostarda deve venire vellutata e gradevole. Qualche massaia ci aggiunge poco zucchero dopo cotta io preferisco il prodotto al naturale e cotto a dovere addensa in modo sublime. Le sante delle nostre nonne, per esser sicure che il mosto si fosse ridotto ad 1/3, utilizzavano un lungo cucchiaio di legno sul quale facevano un segnare dopo averlo immerso all’interno di un pentolone. Durante la cottura potete aggiungere al mosto qualche scorza di cannella o aromatizzare il vino con dei chiodi di garofano o delle bucce di arance essiccate al sole e poi tritate. Non resta che farlo raffreddare e poi conservarlo in delle bottiglie di vetro ben pulite ed asciutte. Se ben tappato e se conservato al buio, il vin cotto può stare per mesi ed anche anni. Ma ora vorrei darvi anche qualche notizia storica. Non posso esimermi! Il primo a parlare di vino cotto fu Plinio che spiegava di un vino cotto per farlo restringere. E’ chiaro che questa usanza fu greca e fatta propria dai romani che condivano i pranzi luculliani con questo nettare. In seguito Tito Livio scrive che i cavalli di Annibale vennero massaggiati con una crema che sembrava proprio vino cotto. Non a caso un tempo si praticavano i massaggi a neonati e bambini proprio col vino cotto! Scaldato e aromatizzato era usato contro il raffreddore con risultati soddisfacienti. Riporto una notizia scientifica:” Nel febbraio 1997 (notizia riportata dal Corriere Adriatico), al Papa influenzato il dr. Augusto Giammiro (ascolano) consigliò di debellare i sintomi del’influenza sorseggiando il vino cotto. Il dott. Giammiro aveva appena conosciuto i risultati di una ricerca americana che aveva identificato una sostanza complessa, che per semplicità fu definita: antibiotico naturale. Il dr. Giammiro sapeva dalla tradizione contadina picena che all’insorgere dei primi sintomi della “grippe” quali raffreddore, tosse, dolori articolari, male di gola, disappetenza, si usava sorseggiare vino cotto. Esso inoltre faceva bene anche per la circolazione sanguigna, innumerevoli fermentazioni intestinali da medicinale o eccessi alimentari. A questa usanza picena la certificazione scientifiche! Ora non ci tocca che aspettare di gustarlo sui turdilli, dolci preparati per le feste natalizie o sulla scirubetta ed inoltre sulla pignolata.