Ricordo con piacere il viso sorridente e soddisfatto di mia nonna quando a noi nipoti portava a tavola quel meraviglioso piatto di riso che preparava amorevolmente. Ricordo maggiormente la solita frase che accompagnava il fragore del tegame sul fuoco: ”Oggi risu e tindi vai o paradisu”, effettivamente quel gustoso piatto era un tripudio di sapori e parlava senza ombra di dubbio calabrese. Per molti questa potrebbe essere una novità probabilmente per chi non si intende di Calabria, ma la rigogliosa Piana di Sibari in provincia di Cosenza è una delle terre di maggior produzione del redditizio cereale. Oltre 600 ettari di terreno in quel lembo di terra tra il Pollino e la Sila è adibito a risaia. I terreni adibiti al riso si collocano tra Cassano e Corigliano dove il 70% delle risaie è carnaroli il resto integrale. Tuttavia è arcinoto che la storia della Sicilia dove in primis gli arabi introdussero il cereale, cammini pari passo alla storia calabra, ma mentre in Sicilia la risaia riusciva a produrre in Calabria questa coltura non attecchiva il terreno qui non era ricettivo ai chicchi bianchi. La Sibaritide nascondeva però un segreto che andava ricercato prima di praticare la risicoltura: andava bonificato nei terreni salmastri poiché queste terre sono da millenni ricchi di salgemma. Tutto ebbe inizio negli anni’50 quando la Piana iniziò in quantità industriali a produrre il noto cereale che diviene il simbolo di molte masserie riconvertite per la risicoltura. L’Ente di sviluppo agricolo per la Calabria seppe fare miracoli per quei territori, nel giro di poco tempo e con i mezzi disponibili si cominciò a coltivare carnaroli che vendevamo e vendiamo ai cugini del Nord come risone grezzo per le loro risaie. Il riso calabrese ha delle qualità eccellenti rispetto ad i risi del Nord, grazie all’insolazione che è maggiore del 30% rispetto al Nord. Il chicco infatti è più corposo e ricco di amido che permette di non scuocere e di essere più saporito. Il comparto però ebbe una breve parentesi negativa quando i Calabresi negli anni’60 furono costretti a migrare in massa per poi riprendersi intorno agli 80, quando ormai le tecniche di coltivazione e coltura si fecero più sofisticate. Utilizzato sul mercato interno calabrese il Riso di Sibari riesce ad essere esportato nei paesi esteri mentre il mercato nazionale predilige il riso del Nord maggiormente pubblicizzato, mantenendo anonimo il nostro prodotto. I tempi mutano si sa, cambiano i mercati e così i mezzi oggi infatti il riso di Sibari può essere lavorato in loco con la nascita di un florido opificio col marchio “Riso di Sibari” creando così industrie modello. L’interesse però manifestato nell’ultimo periodo al riso Calabrese ha alimentato la voglia e la speranza di intraprendere nel settore investendo così soldi e forza lavoro calabrese.