Ceramica artistica di Squillace (CZ), un piacere per gli occhi

Anche la Calabria ha le sue meravigliose ceramiche ed è un peccato non discuterne con i lettori ed informarli di cotanta bellezza artigianale. Siamo a Squillace l’antica Skilletion l’arte della ceramica qui è connessa alla storia della poleis, furono i Greci a portare quest’arte che ripresero dai certosini di Samo. Arte che si è tramandata di generazione in generazione come un rito. Stessi metodi e stessa manifattura! Già Magno Aurelio Cassiodoro, il più illustre cittadino squillacese, primo ministro di Teodorico re dei Goti , ebbe particolare attenzione per quest’arte che riteneva un servizio di pubblica utilità difendendone interessi e diritti. Si ampliò poi coi i Bizantini ed i Normanni che preferivano la produzione ingobbiata e graffita, tecnica Bizantina poi soppiantata dalla smaltatura come le maioliche. Ceramica apprezzata da Alfonso d’Aragona che ne commissionò una meravigliosa anfora col suo ritratto e sovrastata dall’aquila aragonese. La stessa ceramica in questo periodo si rifà alla splendida arte serica della vicina Catanzaro, e in questo secolo andò ad arricchire le congreghe laiche, le case patrizie e le gallerie dei potenti signori del mezzogiorno. Il Barrio parlando della ceramica Squillacese, nel 1500, la definisce“ … figulina opera insigna, ut potè patinae (piatti piani con basso cavetto simili alle patene di metallo per coprire i calici liturgici) ), lances, disci ( piatti schiacciati ma di maggiori dimensioni) et alia id genus… ”dando precise indicazioni anche sulla tipologia lavorativa. Attraverso il catasto onciario possiamo risalire a quanti ceramisti vi erano a Squillace:” sono presenti 31 ceramisti, di cui 10 fajenzari e 21 maestri pignatari e almeno 15 fornaci”. E’ chiaro che ogni bottega aveva il suo metodo le faeze, maioliche, e i pignatari per vasellame pregiato. Nel 1760 nel castello di Squillace la cavalleria viene trasformata a bottega per pignatari fabbrichetta che lavorò fino al 1783. Ad interessarsi di questa ceramica fu nel 1911 anche l’etnologo di fama Nicoterese Raffaele Corso riporta alcuni prodotti fabbricati a Squillace e presentati alla Esposizione Etnografica Nazionale di Firenze dello stesso anno. Il lumaricchju, il candileri, il caruseju, palumbara, mbivitureju d’aceji, ciucculatera, bumbula di vinu, vozza grossa. Nel 1938 Frangipane pubblica il piatto, un tempo nel museo di Catanzaro, datato 1654 e recante il nome Sqllci (Squillace) e ora andato perduto. Le ceramiche di Squillace sono visibili anche in collezioni private ed in molti Istituti specializzati italiani e mondiali : Museo di Capodimonte di Napoli, Museo Duca di Martina alla Villa Floridiana di Napoli , Istituto Statale d’Arte di Napoli , Museo civico di Rovereto, Collezione Arcoleo di Palermo, Victoria and Albert Museum di Londra, British Museum di Londra, Rohsska Konstslojmuseet di Goteborg, Metropolitan Museum of art di New York, Musee du petit palais di Parigi, Museo int. delle ceramiche di Faenza, Farmacia Bucarelli di Vibo Valentia, Collezione privata di Roma, Museo della ceramica di Sevres, Centro culturale del Folklore e delle tradizioni popolari di Squillace. Insomma un vero tripudio! Oggi l’antica lavorazione è ripresa nelle botteghe sono esposti pregiati oggetti di ceramica, che si rifanno alla tradizione classica, e manufatti comprendenti oggetti rustici e artigianali (limbe, giarre, salaturi, vozze, lanceji, sazareji, ecc.). Esperti sono nella creazione da “gozza” era un vaso di terracotta, piuttosto panciuto, con due manici o anse laterali ed un collo stretto, utilizzato soprattutto per l’acqua , ma talvolta anche per il vino. I greci lo chiamavano βόμβος ed il latini bombus, da qui sicuramente ne deriverebbe il nome “bumbulu”, in alcuni luoghi di Calabria e Sicilia. Il contenitore veniva ampiamente adoperato sia dai nostri antichi contadini che dalle massaie ed era particolarmente caro alle famiglie, ma, quando ancora non c’era la possibilità di mantenere l’acqua o il vino freschi, soprattutto in estate, era consuetudine ricorrere ad uno stratagemma che ancora oggi molti anziani del nostro paese ricordano. Appena “a gozza” veniva comprata e riempita di liquido, nessuno poteva avvicinarsi, o meglio era vietato alle donne di prenderla, in quanto soltanto il capofamiglia o comunque un maschio doveva accingersi ad un primo, lungo sorso dal vaso, perché così facendo l’acqua o il vino si sarebbero mantenuti per sempre freschi, anche sotto il sole. Oggi con decreto del Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato ed in seguito alla deliberazione del Consiglio Nazionale Ceramico, la Città di Squillace, sede di una antichissima lavorazione ceramica, è stata riconosciuta “zona del territorio nazionale nel quale è in atto un’affermata produzione di ceramica artistica e tradizionale”.


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