C’era un tempo in cui in Calabria la fame era endemica poi pian piano con le rimesse degli emigrati le cose migliorarono ma non cambiarono. Le massaie calabresi riuscivano a preparare cibarie capaci di ingannare il gusto. Nascevano così il finto ragù e gli altrettanto posticci polpette e capretto, ad essere prese di mira erano soprattutto le pietanze a base di carne che, essendo costosa, difficilmente poteva essere proposta sulle tavole dei meno abbienti. Le polpette in questione, dette anche del venerdì perché, prive di carne, non violavano il precetto religioso di astinenza nel giorno dedicato al ricordo della morte di Gesù, erano particolarmente diffuse e diventavano gustosissime quando contemplavano anche la presenza delle melanzane, per il resto la preparazione ricalcava quella classica: un impasto di mollica di pane e uova insaporito da prezzemolo tritato, aglio schiacciato, pepe nero macinato, parmigiano e pecorino grattugiati, il tutto fritto, a piccoli tocchi arrotondati o allungati, in olio d’oliva. Il finto capretto al gusto sopraffino della cipolla rossa di Tropea cotta al forno a spicchi assieme a patate, grossolanamente tagliate e profumate con le tradizionali erbe aromatiche: rosmarino, salvia e alloro. Il ragù falso utilizzava pure la rossa tropeana, soffritta in olio di oliva e bagnata col vino rosso, a cui si aggiungeva un buon passato di pomodoro fresco al basilico. Deliziose “scusanti” che davano ristoro in tempi difficili.