Sembra davvero una colazione di tempi molto lontani ma io nata e cresciuta nell’era del progresso ho mangiato questa delizia da bambina. Devo il ricordo di certi sapori alla sagacia di mia madre la quale appena udiva la voce squillante del ricottaro, cumpari Micheli, si fiondava fiori col piattino per acquistare le fumanti ricotte. Massaru Micheli scendeva a Nicotera con la sua “lapa” da Monte Poro e iniziava a richiamare l’attenzione al grido di … ”e rricot”. La tiritera di ogni mercoledì mattina. E’ sostanzialmente una colazione invernale di quelle giornate montane fredde e piovose delle alture Calabre. Semplice e nutriente ma anche molto facile da preparare. Un tempo ci si alzava all’ alba, fuori era freddo e il giorno che iniziava si prospettava tanto lungo e faticoso. Già, quasi alle prime luci il pastore inizia a mungere i suoi armenti per l’esattezza il calendario del buon pastore segna il 6 dicembre. A San Nicola i pastori cominciavano a mungere pecore e capre figliate da poco e a “fare la prova”, cioè a produrre il primo formaggio e le prime ricotta. Il calderone sul fuoco bolle e in poco tempo verrà fuori la ricotta eburnea, profumata di siero. Tuttavia, è doveroso riportare per i lettori l’antico ditterio delle mie zone:”U pìecuraru si lu vìesti de sita sempre fete de lacciata, (il pecoraio anche se lo vesti di seta, puzza sempre di siero). Ed infatti le ricotte di Massaru Micheli avevano un profumo di siero proprio come lui. Ecco che la colazione era costituita dalla ‘mpanata ossia una sorta di zuppa di ricotta e pane servita con una coppa in legno di ontano. Il pane deve essere leggermente raffermo e sopra si versa il siero in modo da ammorbidirlo. Dopo qualche minuto si ammorbidisce, si elimina il siero in eccesso e si distribuisce sul pane inzuppato la ricotta calda calda mescolandola con il cucchiaio di legno. Io a casa però non usavo le stoviglie di legno, peccato forse avrebbe avuto un sapore ancor più delicato. So che Massaru Micheli invitava spesso i suoi clienti ad assaggiarla dal vivo e con tutti i “mezzi” del pastore. Allora si aspettava pazientemente che il pastore togliesse dal “caccavu” prima il formaggio, poi la ricotta. Poi si preparavano le porzioni come spiegato in calce: ”A questo punto si sbriciolava in una coppa di legno di ontano che ci forniva il pastore stesso il pane leggermente raffermo e vi si versava sopra il siero per lasciarlo ammorbidire. Dopo un po’ si gettava via il siero in eccesso e si distribuiva sul pane inzuppato una ricotta ancora calda rimestando delicatamente con un cucchiaio di legno”. Nel mentre si attendeva trepidante di avere la propria ciotola si sceglieva il posto migliore per godere della bontà e anche del lavoro del pastore. In questo modo si intuisce la longevità della maggior parte dei nonni calabresi che vivono, con i figli lontani, nei nostri paesini.