Un altro mestiere, ormai completamente scomparso, è il compratore di capelli, u capilleri

Io la ricordo questa “figura professionale” che fino agli anni ’80 girava per le viuzze del mio borgo ma ricordo bene che ogni fine settimana bussava alla porta di casa mia e chiedeva di mia nonna. Mia nonna fino a tarda età tenne i capelli lunghi che sfoggiava in due trecce bianche e raccolte a “tuppo” che regolarmente fermava con “pettinisse e ferretti”. Ogni mattina prima di rassettare la casa o prima di andare nell’orto si sedeva dinnanzi la finestra e su e giù col suo pettine giallo canarino comprato al mercato locale, pettinava i suoi lunghi capelli. Era un rito che faceva da sempre e nel mentre lo faceva qualche canzoncina la faceva. Tant’è vero che anche io che questo curioso venditore l’ho visto solo un paio di volte ho lasciato la mia prima treccia, in cambio mi dette una scopetta per bambine. Piccole massaie crescono e si era sbagliato! Il resto lo barattò con mia nonna in quisquilie che lei usava per il cucito. Non vi dico quante volte mi sono vista tagliare la frangetta e se mi rifiutavo vai con la tiritera:” faranno delle bambole che poi il nonno venderà al mercato”. Tempi antichi in cui l’arte di arraggiarsi specie in Calabria era all’ordine del giorno, e quelle donne attente riuscivano a raccogliere anche i capelli che cadevano o quelli che tagliavano per affidarli al capillere. Questo personaggio carico come un mulo delle sue mercanzie oggetti di plastica tra cui i primissimi porta saponi, secchi, pettini e pettinisse, aghi, filo qualche gancetto e pure prodotti per la cura personale. Insomma ti dava il tuo compenso in base a dei requisiti ed in base alla quantità di capelli consegnati. In via Barriera a Nicotera il capillere faceva un vero “giro” avendo sempre le clienti fisse. Le donne dopo aver raccolto e messi in ordine i capelli da dare al capillere li fermavano a mo’ di fiocchetto e li riponevano in modo che non si sciupassero in un sacchetto di carta. Il capellaio li esaminava e li prendeva dopo essersi assicurato che non contenessero pidocchi o loro uova, dando in cambio oggetti che portava nel suo carretto. Il valore dei capelli naturalmente aumentava notevolmente quando le donne consegnavano capelli lunghi o trecce intere. I capelli venivano poi venduti a Bari ed a Napoli a commercianti che, dopo averli puliti e selezionati, a loro volta li vendevano a ditte che producevano parrucche per uomini e donne. La voce che circolava sul “capillaru” era che lui vendeva i nostri capelli per fare le parrucche, altri dicevano che servivano per le bambole. In realtà non abbiamo mai saputo dove finivano i nostri capelli!. Frequentando però le città Bari, Napoli, Messina portava sempre delle novità che attiravano mia nonna ricordo che una volta chiese al capellaio “nhà lenti” per vedere i punti più grandi, gli consegnò una banale lente d’ingrandimento con un supporto da appoggiare “o tilaru”. Iniziava il potere delle cineserie! Lui esperto soppesava i capelli e decideva cosa dare in cambio. Le donne se erano contente dello scambio, prendevano e se ne andavano, altre curiose aspettavano di vedere lo scambio della vicina. Spesso, non erano contente del baratto e per ripicca non glieli davano aspettando di raccoglierne un po’ di più per la prossima volta con la speranza di prendere qualche oggetto più utile. Il venditore cercava sempre di accontentare tutte, perché era il suo lavoro e non voleva sicuramente tornare a mani vuote. Spesso accomodavano con l’ aggiunta di poche lire per equilibrare il prezzo e tutti erano più contenti. Naturalmente, noi bambine eravamo felici quando le mamme prendevano qualcosa per noi: mollettine per i capelli, qualche giocattolino, penne per la scuola…



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