Il sapone fatto in casa, nel secolo scorso, era un rito che era celebrato da donne energiche, abituate alla fatica e amanti della pulizia. Esso era confezionato almeno due volte l’anno. La prima “partita” di sapone si faceva a fine estate. Dopo aver venduto l’olio prodotto dalle piante degli uliveti di famiglia si guardava in fondo alle giare o ai landuni si raccoglieva la murga la morchia, era quello l’ingrediente di base del sapone. Competenza ed olio di gomito facevano il resto, bisognava saper dosare bene ‘a putassa (potassina) che consentiva al sapone di solidificare. La procedura era semplice si metteva sul fuoco il landone, grosso contenitore di latta, di forma cilindrica, nel quale erano state versate le murghe al primo bollore si aggiungeva la soda che avviava il processo di solidificazione della morchia. Era necessario quindi, tenere a portata di mano tanta acqua che buttata sopra a secchiate, regolava il tutto e calmava il bollore della potassa. Il segreto era mescolare sempre e controllare il fuoco per regolare il processo di saponificazione. Mescolando veniva fuori un prodotto molto particolare: se era bianco latte era perfetto, se di colore più scuro, invece, di media perfezione, ma il colore non era determinante relativamente allo scopo per cui era usato. Spesso, comunque il colore non decisamente bianco, non comprometteva la qualità del sapone. Un pezzo di sapone appena fatto era molto gradito dalle signore che abitavano vicino alla casa della saponificatrice. Spesso e volentieri metà di quel prodotto veniva regalato ai meno fortunati del rione. Lasciandolo riposare per una notte intera serviva a quantificare la resa di quel prodotto che richiedeva fatica, la tagliatura poi era anche un rito. Bisognava tagliare “u sapuni i casa” in modo che potesse essere maneggiabile, poi veniva lasciato a seccare per un mese in modo che divenisse leggero per essere usato in cucina, per lavare la biancheria e per l’igiene personale. Erano assenti tutte le allergie, che oggi tormentano anche la nostra gente. Dopo che le nonne non ebbero più la forza di fare il sapone, il testimone passò alle nuove generazioni, che, più tardi, però, preferirono rivolgersi al negozio vicino casa che vendeva il prodotto confezionato dall’industria. Allora, le giovani donne amavano anche sperimentare, infatti si impegnavano a cercare le fragranze da usare: lavanda, camomilla, rosmarino, rosa e persino menta piperita. Quando non riuscivano a trovare le essenze, le preparavano in casa bollendo in acqua gli ingredienti trovati e versati nel contenitore della morchia in ebollizione. Oggi, sembrano cose di tempi molto remoti, ma nel nostro Mezzogiorno questo antico rito era praticato dalla notte dei tempi e la metodologia era stata tramandata di madre in figlia. Oggi l’industria ci propone saponette profumate con oli essenziali, con fiori secchi, aromi ecc. Esse sono avvolte in accattivanti confezioni che inducono all’acquisto. Le madri di famiglia oggi sono obbligate a barcamenarsi tra detersivi per piatti, per bucato, per i delicati, per la lana, per i colorati, i bianchi, gli additivi, gli ammorbidenti, gli sbiancanti ecc. Magie del progresso che ci sta presentando, però, un alto conto da pagare, tra inquinamento dell’ambiente e malattie varie causate da ingredienti non sempre sicuri per la salute.