Mi è capitato di ascoltare la canzone Mongiana del maestro Bennato, ascoltata con ilarità eppure mi è venuto in mente quando prima di studiare come si deve in ambienti universitari credevo anch’io a queste sciocchezze. Il titolo è una delle frasi che il buon Bennato usa nel testo! Credo fermamente che Bennato non sia diventato neomeridionalista abbracciando tesi sconfusionate su Mongiana. Per prima cosa oso tirare in ballo Giuseppe Maria Galanti incaricato nel 1792 dal governo borbonico di andare a capire qual era lo stato delle cose nella ribollente Calabria animata da sussulti rivoluzionari. Ecco che nasce “Giornale di viaggio in Calabria” che è documento imprescindibile di cronaca in presa diretta scritto da un illuminista che lavora fedelmente per i Borbone. Che cosa ci racconta il Galanti? Che non lavoravano di certo miglia di operai ma solo 200 che non erano per nulla pagati bene dalla Corona, che avevano vita breve e la maggior parte erano paralitici o ciechi. Per arrotondare si agevola il contrabbando e chiosa Galanti “colla scarsezza di soldi il Fisco fa due mali: mina li suoi interessi e corrompe la morale de’ popoli”. Questo lo stato delle cose presenti nel 1792 a Mongiana. Annoto poi le parole dello storico Augusto Placanica: «Talune forme di economia ricevettero un colpo assai duro dall’unificazione: basti pensare al tracollo e alla pressoché immediata soppressione delle attività minerarie e del sistema di ferriere di Mongiana-Ferdinandea-Serra-, che prima fabbricavano armi, munizioni, e taluni macchinari, operando, sì fuori concorrenza e dietro commesse dello stato borbonico ma che intanto costituivano, insieme con i nuclei campani, un punto alto dell’industria meridionale». Quindi non producevano elementi ferroviari! Certo quando si aprì il Museo delle Ferriere il giornalista Aldo Varano raccontando la vicenda nelle sue giuste dimensioni che si può sintetizzare con la sua frase “Le fabbriche della Mongiana non furono l’esempio di una realtà felice e ricca poi cancellata dalla furbizia di Garibaldi e dei piemontesi”. Le fabbriche dei Borbone erano non solo sorvegliate dai militari ma erano opifici antiquati e poco concorrenziali. La chiusura di Mongiana fu coeva a quelle in Toscana, presso Pistoia, Pietrasanta, Valdelsa e in Lombardia, nell’alta Valtellina, Valsassina, Val Brembana, Val Sertiana, Val di Scalve che erano più moderne e meno mortali di quelli calabresi. Eravamo già in capitalismo globale e la metallurgia europea era più competitiva rispetto ai ferrivecchi italiani riuscendo a praticare prezzi molto più bassi dei suoi manufatti che arrivarono nei porti italiani. La dismissione, quindi, fu generale e non ordita dai Savoia per non far intraprendere il Sud o la Calabria. Va detto che i residui ferrosi di Mongiana furono svenduti alle Ferriere dell’isola d’Elba e che gli impianti calabresi messi all’asta finirono in mano alla famiglia Fazzari. Il maestro Bennato che credo sia in buona fede non vuole alimentare leggende e far credere in una Calabria ricchissima perché caro maestro “Una bugia detta molte volte alla fine diventa una verità”